Essay,  May 2021

Vi racconto i miei giorni… (ITA)

Inserito nel numero di Maggio 2021 The Open Doors Review come testo parallelo. Estratto del libro. Clicca qui per l’inglese.

Autore: Pietrina Salvatici Misciattelli Bernardini

Pietrina Salvatici Misciattelli Bernardini nasce a Orbetello, in Toscana, nel 1933. Cresce tra la Grecia e l’Italia con la sua famiglia, composta dai genitori e i suoi tre fratelli, e questo continui spostastamenti, fondamentali per la sua formazione, saranno però responsabili di quel sentimento di profonda nostalgia che non la abbandonerà mai. Scampata con la sua famiglia alla Seconda Guerra Mondiale, vive il dopoguerra in Sardegna dove conoscerà l’amore della sua vita, Gregorio Misciattelli Bernardini, rampollo di una nobile famiglia umbra. Con lui proverà sentimenti mai provati prima, compresa la paura di non essere accettata a causa del rigido protocollo della Nobiltà italiana che voleva per Gregorio una moglie dello stesso rango. Ma, come per ogni favola che si rispetti, il lieto fine era previsto e i due innamorati hanno potuto vivere il loro grande amore. Pietrina oggi vive in Umbria accanto ai suoi quattro figli, dieci nipoti e due bisnipoti.

Il seguente estratto proviene dal libro di memorie che ha scritto nel 2014, tradotto da Ellen Craig.

Spesso vieni a fare il bagno allo stagno, ti senti vecchio, inadeguato, desideri disperatamente inserirti nell’allegria di quei giovani amici, è difficile, il divario fra la tua età e la loro è minimo, per loro il passato è rifugio, per te baratro di dolore, l’avvenire è ridotto a l’immediato, il domani una incognita.

Una mattina come tante, il cielo terso, il volo argenteo dei muggini, la difficoltà a poggiare i piedi sulle conchiglie taglienti, come pensieri faticosamente trattenuti per non sconfinare in ricordi dolorosi. Alle tue spalle senti un passo incerto e titubante, un ciao appena sussurrato e improvviso, ti giri, una figurina armoniosa dal sorriso appena accennato e timido dietro una cascata di capelli biondi che celano e scoprono il viso ad ogni folata di vento.

Ti alzi e stringi una mano dal tocco deciso, mentre la voce di Attico pronuncia, ‘Piera questo è il mio nuovo amico Gregorio’. 

Non mi vuoi guardare ma anche io non voglio guardarti, anzi ti ignoro completamente e continuo a osservare un punto in lontananza, tu ti senti vecchio e io piccola e puerile, consapevole della mia bellezza, sento che rappresento tutto ciò che vorresti sognare, ma anche tutto ciò a cui ora non puoi aspirare, non hai nulla da offrirmi, ti senti solo un involucro al quale la vita ha strappato il cuore e i sogni. 

Ma sono giorni sereni, trascorsi fra scaramucce, bronci e risate, impulsi repressi, atti gentili, ma volutamente indifferenti intrecciati a silenzi prolungati, lo sguardo che si sposta verso un salto acrobatico dei muggini, e la tua lotta, ancora faticosamente vincente per non posare lo sguardo su di me, la fatica di rispondere alle mie domande con leggero sarcasmo, mescolata allo sforzo di soffocare il desiderio di accarezzarmi i capelli, di vedermi arrivare trattenendo il desiderio di corrermi incontro. 

Aspettare il mattino per potermi rivedere e inventare poi ogni mezzo perché non intuisca e non veda quello che sei, un uomo assetato d’amore, bisognoso di sogni e di speranze, ti appelli disperatamente a ogni sorta di logica. 

Secondo te io merito una vita diversa da quella che mi potresti offrire, speranze, futuro certo, una vita che tu, nelle tue condizioni non mi puoi garantire, ti crogioli in una gelosia mascherata da indifferenza totale, provi antipatia per Enzo, bello scultoreo, gentile e affettuoso, e per Piero, premuroso e leale, credi che ti faccia ombra la sua serena costanza, la sua assiduità.

Gite in barca, risate, poi la capitolazione totale, resa incondizionata ad un sentimento, che nonostante la tua determinante volontà e le argomentazioni piene di logica ferma, ha proclamato vittoria. 

Mi dichiari così tuoi sentimenti e le ragioni per averli voluti nascondere mimetizzandoli sotto una indifferenza esasperata, quanta fatica inutile, quanti giorni persi…ma io ti sorrido e ti dico ora e per sempre, ‘anch’io sono innamorata di te’.

Quante volte, nella nostra lunga vita insieme, abbiamo ricordato questo momento e quei giorni felici? Sempre, come fosse ora.

Lunghe passeggiate a Cagliari, la nostra meta preferita era l’orto botanica, mi illustravi le varietà delle piante e mi parlavi delle miracolose proprietà della terra, la commozione velava la tua voce, mi raccontavi ei tuoi terreni non più tuoi, del tuo mondo, della tua verde regione, e lentamente, in punta di piedi entrai nella tua vita. 

Sapevo che il tuo passato aveva segnato per sempre il tuo carattere, ero consapevole che vivere con te sarebbe stato un altalenare fra altezze infinite e precipizi dolorosi, ma non importava ne dove o come, desideravo solo condividere la mia vita con te, percepire il senso di protezione e amore che mi davi, certa che mai più avrei vissuto un amore così grande.

Mi portasti a conoscere i tuoi genitori, tuo padre affabile e sorridente, tua madre invece, troppo gentile, troppo affabile, troppo tutto, fui avvolta da un senso di freddo e di proibito, un nemico invisibile che non conoscevo, mondi diversi, convenienze cementate nei secoli, una realtà che senti ostile ma non capisci, leggi ataviche che non comprendi.

Avevo diciotto anni, e credevo che il mondo fosse mio, un lasciapassare sicuro, ma non era così, niente di tutto questo, da una parte di quel mondo venivo rifiutata, non ero all’altezza, non avevo illustri antenati o un nome altisonante, ero corredata solo di un amore vero, infinito, troppo poco.

Amori contrastati, famiglie sorde a ogni sentimento, convenienze e ambizioni, matrimoni combinati e ragioni di confini e proprietà limitrofe, diventai mio malgrado la protagonista di una faida contro il vero amore. 

Una ribellione impotente, cercavi in infondermi una speranza che anche in te vacillava, ‘vedrai che tutto si risolverà, riuscirò a convincerli che tu sei per me ciò che ho di più importante, non rinuncerò mai a te, dovranno capire.’

Quante parole, quante speranze appena nate e già disilluse, quanti giorni a cercare una via di uscita, poi improvviso e studiato, il tuo rientro alla Regione di origine; un grande amore non può competere contro strategie messe in atto da sapienti strateghi, che nella loro vita hanno anteposto al sentimento le convenienze pratiche con nomi altisonanti, nobiltà, doveri, ricostituzione di patrimoni in rovina, con matrimoni mirati a rimpolpare proprietà e tradizioni.

La partenza segnata da un arrivederci straziante come un addio, la tua mano che asciugava le mie lacrime, la tua voce che sussurrava, ‘ti prego, amore, parlerò con i miei zii, li convincerò, aspettami, realizzeremo i nostri sogni, ci sposeremo, vivremo sempre insieme, aspettami.’

Quante battaglie in una guerra di convenienza, tradizioni da rispettare, un titolo nobiliare, troppe argomentazioni logiche, ataviche, contro un ragazzo e una ragazza armati solo di un amore infinito, ma solo amore. 

Nel tempo di allora vinsero le convenienze, la certezza che non potevi offrirmi nulla, una tattica degna del migliore scaltro: caricarti di responsabilità più grandi di te, unirle ai tuoi sensi di colpa per lo sfacelo del mondo dorato che non c’era più, la disperazione nel credere di tarparmi le ali per un amore senza un domani.

Forse la lontananza e le lettere sempre più rare, inviate ma mai arrivate, la disperazione sempre più profonda, poi primi dubbi, e infine la certezza di un amore a senso unico, seguita da una cupa rassegnazione, e dalla convinzione che non si entra in paradiso a dispetto dei Santi. 

Io il Paradiso lo avevo intravisto, ma ciò che mi rimaneva era solo il sogno di pensare come sarebbe stato viverci e poterci entrare.

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